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Hades| III – Narrazione tra Ambrosia e variable counters

Siamo arrivati all’ultimo articolo dedicato alla fuga di Zagreo dagli Inferi per sfuggire all’ingombrante (anche fisicamente) padre Ade. Il primo articolo è dedicato alla presentazione di questo interessante gioco, Hades, dello studio Supergiant. Il secondo, invece, al gameplay.
Ma qual è la struttura che caratterizza il videogame che ha trionfato all’apposita categoria (permanente?) degli Hugo Awards? Si tratta di un premio insignito alle migliori opere narrative di stampo fantasy e fantascientifico, e per quanto la categoria videoludica sia una fresca novità, è anche vero che a concorrere vi fossero altre opere tra cui The Last of Us II, titolo acclamatissimo dalla critica ma anche odiatissimo: le community di fan non sono mai soddisfatte finché non finisce tutto in un grande banchetto a base di rotule del nemico e lasagne di budella.

Perchè dunque Hades è così particolare? Abbiamo affermato come il gioco sia un roguelike, quindi abbia una struttura che fonda i suoi livelli nella generazione di stanze casuali piene di nemici la cui morte sblocca l’accesso alla stanza successiva. Molto semplice e va dritto al punto: massacra qualsiasi cosa si muova sul tuo piano e potrai compiere un passo in più verso l’uscita dagli Inferi.

Qualcuno direbbe “molto lineare”. E qui schiacciamo il pulsantone rosso che ferma il nastro trasportatore della fabbrica fordista del pensiero. Nel secondo articolo abbiamo parlato più volte di come la ripetizione sia il motore immobile (Aristotele perdoname por mi vida loca) della narrazione, una ripetizione data dallo sfruttamento ad hoc della caratteristica tipica del roguelike che non permette al giocatore di salvare a piacimento la corsa nelle varie stanze, obbligandolo ad avere “la resurrezione” come unico checkpoint, cioè zona di salvataggio.

In proposito, il gioco prende elementi tipici del roguelike game e li mette al servizio di una vera e propria trama, impreziosendolo con interazioni significative e intrecci tra personaggi. Siamo oltre la semplice corsa contro tutti e tutto per raggiungere un singolo obiettivo.
In Hades i vari tentativi di fuga che Zagreo compie sono tutti votati ad uscire dagli Inferi, ma tutto ciò che si muove attorno a Zagreo e che occupa le sale comuni attorno alla grossa scrivania di Ade (ovvero il nostro checkpoint) è dipendente da ciò che di imperituro il giocatore scopre e guadagna nei vari tentativi: essenze d’oscurità per potenziarsi (e questo gioca a sfavore dei colossi, abbattuti man a mano con più facilità), ma soprattutto gioielli e ambrosia per creare legami.

Luogo in cui è possibile spendere le risorse per potenziarsi fisicamente.

Zagreo può spendere i preziosi presso una buffa figura chiamata Contractor che gli permette da un lato di ottenere taluni strumenti che gli faciliteranno la fuga, dall’altra di… decorare la sala d’aspetto.
Perché mai Zagreo dovrebbe abbellire questo luogo? Perché dovrebbe mettere mano all’estetica del posto che odia e che vuole lasciarsi alle spalle? Forse perché i suoi inquilini non sono poi così male.

Morte dopo morte, una resurrezione dopo l’altra, i personaggi che affastellano l’atrio avranno nuove cose da dirci, informazioni da donarci, commenti sarcastici sul fatto che ci siamo fatti asfaltare dall’Idra, oppure incoraggiamenti accorati e parole di conforto. A loro, miseri e tapini trattenuti da Ade come noi, possiamo donare il nettare degli Dei che troviamo lungo le nostre plurime fughe: l’Ambrosia. Regalando ai personaggi cui rivolgiamo la parola un vasetto della preziosa bevanda, possiamo ricevere doni reciproci simbolo d’affetto o simpatia: indossandoli guadagneremo determinati bonus per le run successive.
Ad ogni incontro, parlando con gli Dei e donando loro quanta più ambrosia possiamo, loro inizieranno ad aprirsi a noi, raccontarci storie degli Inferi, informazioni sulla propria vita, le loro ambizioni, desideri, paure più profonde, e addirittura ci sveleranno segreti sulle nostre origini. Ci potranno raccontare realtà celate sulla nostra stessa nascita, scelta dal team di sviluppo per essere tra le tante mitologicamente nebbiose.

Una volta consegnato il nettare divino, potremo segnare un cuoricino al fianco del nome del personaggio. Più cuori avrà, più sarà propenso e ben disposto nei nostri confronti. E perché no? Anche intrecciare relazioni romantiche con i suddetti personaggi fa parte del gioco. In fondo, quell’Achille che ci osserva dall’altro lato del corridoio, sempre pieno di frasi gentili e d’incoraggiamento lascia presagire un certo interesse. Zagreo può quindi conoscere a fondo quei personaggi che puntualmente assistono mentre emerge dalla piscina di sangue e puntualmente si rigetta poco dopo nel dungeon, deciso a massacrare un altro giro di creature Infernali. Il tutto per essere ammazzato dopo una decina di minuti… per l’ennesima volta.

Spendere gioielli per decorare e migliorare le stanze degli Inferi.

Nel dungeon infero però troviamo altre figure con cui Zagreo ha tutto l’interesse di parlare e intrecciare relazioni; sono coloro che piombano in quasi ogni stanza per offrire i loro doni al giovane fuggitivo nella speranza che un giorno si possa unire a loro sul monte più alto della Grecia. Si può offrire Ambrosia agli Dei. Con il primo regalo, la divinità donerà a Zagreo uno strumento che se equipaggiato ci darà qualche certezza per le fughe laddove i bonus sono casuali: ad esempio, ci garantirà che il primo dono sul nostro cammino sia quello di una determinata divinità.
L’Ambrosia quindi ci permette di sfruttare gli innumerevoli incontri che avremo con determinati personaggi, siano essi nel dedalo di livelli o nell’atrio. Essa consente, accanto all’ occasione di chiacchierare come se fossero vecchi amici o conoscenti, di approfondire il legame che lega questi parenti alla lontana.

Quand’è però che i personaggi iniziano ad aprirsi a noi? È un semplicissimo contatore di incontri a fare la magia: la trama è letteralmente montata su un processo di variable count che tiene traccia di ogni volta che intratteniamo una conversazione con un dato personaggio. Dopo una serie esplicita e stabilita di incontri, i personaggi avranno avuto prova della nostra personalità aperta e del nostro orecchio teso ad ascoltare il prossimo (non a caso ci metteremo a decorare la grande sala d’ingresso, non siamo dei pezzi di ghiaccio intransigenti come Ade). È proprio il Codex donatoci da Achille a tenerci informati su ciò che sappiamo circa i vari personaggi, quanti cuori abbiano e quanti incontri ci mancano per illuminare la prossima parte di storia; da qui, una nuova strategia di gioco: buttarsi sulle sale che ci permettono di incontrare determinate divinità non tanto per avere da loro benefici bellici bensì per permetterci di scoprire qualcosa in più sulla storia della giostra di personalità che ravviva i labirinti del Tartaro.
È sin possibile trovare le Furie, una volta sconfitte, a rinfrescarsi al bar dell’Atrio dove saranno disponibili per una chiacchierata o addirittura ricevere dell’Ambrosia dal buon Zagreo. Oppure ascoltarle conversare con altri personaggi e scoprire così nuove cose sul nostro conto. E quando le si rincontra nel Tartaro? Le si saluta come vecchie amiche che sono lì per fare il loro lavoro, ricordando tutte le volte che siamo stati trinciati o che le abbiamo spedite via a calci nelle chiappe.

Voce di Achille del Codice del Regno dei Morti che tiene traccia degli incontri mancanti.

Hades sfrutta quindi la caratteristica permadeath e le run senza ritorno per solidificare la sua stessa narrazione in maniera semplice ma insospettabile. Il gioco non è quindi una fuga lineare verso l’esterno che gli sviluppatori hanno reso particolarmente ostica da privazioni e nemici potenti, ripetizioni di battaglie contro i nemici importanti, e incertezza sui bonus fisici che potremo incontrare con il solo scopo di sfidare le abilità del giocatore. Si scopre invece essere un loop narrativo dal quale scaturiscono altrettante narrazioni sempre più corali, presenti e importanti, mano a mano che la nostra morte ci riporta all’odiata casa.
Sicuramente Hades rappresenta una nuova era per il roguelike game. Ancora una volta, un format ludico caratterizzato dalla carneficina di mostri e punti danno che tintinnano come una pioggia di monetine, crolla sotto la potenza della narrazione e dell’umanizzazione dei dati. Tutto per un variable counter che imposta l’incontro con i personaggi come dato variabile da tracciare.

Ma riuscire a fuggire dall’Oltretomba, sfruttando a pieno il genere roguelike, non è altro che l’inizio della storia.
Bella giocata, Hades.

Alessandra Richetto