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Camminare come arte: la teoria della deriva di Guy Debord e altre esperienze artistiche

Una o più persone che si lasciano andare alla deriva rinunciano, per una durata di tempo più o meno lunga, alle ragioni di spostarsi e di agire che sono loro generalmente abituali, concernenti le relazioni, i lavori e gli svaghi che sono loro propri, per lasciarsi andare alle sollecitazioni del terreno e degli incontri che vi corrispondono”. 

(Guy Debord)

Camminare in una città è un’azione legata in un numero considerevole di casi alla dimensione della necessità: il nostro spostarci nello spazio urbano è determinato da attività lavorative e impegni sociali che ci portano a muoverci in modo razionalizzato e funzionale.

Tuttavia, nei primi anni Cinquanta un movimento avanguardista artistico e culturale denominato l’internazionale Lettrista, che muterà successivamente nel ’57 in Internazionale Situazionista, definisce il perdersi all’interno della città come “una forma espressiva dell’anti-arte, un possibile strumento estetico-politico attraverso il quale si possa sovvertire il sistema capitalistico che caratterizza il dopo guerra.”

Alla base del concetto del perdersi in una città vi è il rapporto che si instaura tra l’individuo e lo spazio urbano. Tale rapporto è stato territorio d’indagine non solo dei situazionisti e del loro esponente più noto, Guy Debord, ma anche di altri intellettuali che hanno preceduto e messo le basi per i situazionisti.

All’origine dell’interesse di questa tematica vi sono le progressive trasformazioni a cui la città in passato è stata sottoposta, scaturite dalla crescita tecnologica ed economica. Le nuove risorse in gioco, i mezzi di trasporti meccanici e la rapida espansione del tessuto urbano solo elementi che ridisegnano tale rapporto e fanno scaturire sentimenti e azioni.

La Parigi della seconda metà ‘800 subì un’operazione di ristrutturazione urbana voluta dall’imperatore Napoleone III. Il sovrano rimase colpito da un soggiorno nella capitale inglese che gli permise di vedere gli interventi di ristrutturazione realizzati su Londra, dopo il grande incendio del 1666 che aveva distrutto gran parte della città. Gli interventi di ristrutturazione urbana avevano reso la città un centro d’avanguardia per quanto concerneva i campi dell’igiene e dell’urbanistica, così da far prendere la decisione all’imperatore di riconfigurare la città francese, una città ancora connotata dalle sue sembianze medievali.

A vivere in prima persona le vertiginose trasformazioni della città parigina fu il poeta e scrittore francese Charles Baudelaire, nella cui opera Les fleurs du mal, ha istituito le basi per le future riflessioni del vivere in uno spazio urbano elaborando il concetto di flaneur.  Esso non ha una traduzione specifica, in italiano può essere associata ai termini di vagabondo o nomade ma che tuttavia non riescono ad esprimere appieno il concetto di Baudelaire. Secondo le indicazioni dell’autore stesso il termine che meglio lo caratterizza è conoscitore del tessuto urbano: un’esploratore che attraverso l’azione del camminare percorre le strade intricate della città trasformata dalla produzione di massa, abbandonandosi senza fretta, in solitudine, così da sperimentare emozioni suscitate dal paesaggio osservato. Lo spazio in cui l’individuo si colloca è cambiato e cambiando lo spazio cambia il modo di muoversi, percezioni, abitudini, necessità, paure e sensazioni.

Il 14 aprile 1912 Parigi gli esponenti del movimento Dada si incontrano di fronte alla chiesa di Saint Julien le Pauvre per una serie di escursioni urbane nei luoghi banali della città, visite in luoghi non considerati rilevanti, attuando così una delle prime forme di ready made urbano. Questo fino ad arrivare al maggio del 1924 e alla prima deambulazione in aperta campagna che instaura il passaggio dal Dadaismo al Surrealismo.

E’ da queste esperienze che la ricerca artistica comincia ad interessarsi al rapporto che lo spazio ha con la psiche dell’individuo, non solo lo studio dello spazio urbano in sé.

Tutti questi concetti verranno ripresi dal Situazionismo.  Dal superamento delle passeggiate surrealiste nasce la deriva psicogeografica. La psicogeografia è una tecnica del corpo che indaga lo spazio urbano percorrendolo a piedi; è una metodologia d’indagine dello spazio urbano, fondata verso la metà del secolo scorso da un gruppo di giovani tra cui il più noto Guy Debord.

Con essa si ha la ridefinizione dello spazio urbano attraverso l’enfatizzazione di un comportamento ludico-costruttivo basato su emozioni soggettive. Attuando la decostruzione degli spazi si azzera il contesto urbano e si costruiscono in modo creativo nuovi spazi, basandosi sulle correlazioni dell’individuo tra psiche e ambiente.

“Deriva: modo di comportamento sperimentale legato alle condizioni della società urbana: tecnica di passaggio frettoloso attraverso vari ambienti. si dice anche, più in particolare, per disegnare la durata di un esercizio continuo di questa esperienza.”

(internazionale situazionista n.1 1958)

La deriva come movimento nello spazio urbano e azione sul presente viene teorizzata da Debord nel ’58 definendola come una tecnica di passaggio veloce attraverso gli ambienti, mettersi in movimento senza uno scopo preciso o imposto da necessità esterne. La deriva è stata definita come “una totale dissoluzione dei confini di arte e vita”

Alcune indicazione di Guy Debord:

«Per fare una deriva, andate in giro a piedi senza meta od orario. Scegliete man mano il percorso non in base a ciò che sapete, ma in base a ciò che vedete intorno. Dovete essere straniati e guardare ogni cosa come se fosse la prima volta. Un modo per agevolarlo è camminare con passo cadenzato e sguardo leggermente inclinato verso l’alto, in modo da portare al centro del campo visivo l’architettura e lasciare il piano stradale al margine inferiore della vista. Dovete percepire lo spazio come un insieme unitario e lasciarvi attrarre dai particolari.»

fonti: il concetto di deriva nei film di Guy Debord Matteo Paolini

Valeria Secchi Interactive Storytelling and Art 2019