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Autorialità VS Autorità

Il mio approfondimento e le mie idee personali sul rapporto tra Autorialità e potere, fandom e canonicità di una storia

Uno degli argomenti che trovo più affascinanti è quello inerente alla strutturazione logica dei mondi immaginari. Un controsenso, verrebbe da dire, o una perdita di tempo. Nel mondo immaginario ci metti ciò che ci vuoi mettere. Ed è qui che la questione coglie in fallo il viandante inesperto: non si può affatto mettere ciò che vuoi in un mondo immaginario.

O meglio, lo puoi fare quando cominci a scrivere e strutturi il tuo universo con un sapiente uso di World Building e disegno dei personaggi. Possono anche respirare zolfo e mangiare veleno, per quel che vale. In una fase successiva, però, quando la storia è ormai ben strutturata e raggiunge il grande pubblico viene di fatto a cristallizzarsi in un “oggetto”[1] ben definito, fisso su carta o su pellicola. Quel prodotto letto e fruito da migliaia di persone entra così a far parte di una semiosfera costituita dallo zoccolo duro dei fan convinti e da cerchi esterni di fan meno fedeli fino alle estremità di fan a convenienza. Questa storia, fattasi prima immaginario collettivo e poi, se nel tempo resiste, pratica o rituale (il mondo dei cosplay, dei meme, la rituale ripetizione delle battute come capita per Aldo, Giovanni e Giacomo) è diventata in un certo senso ben definita, intoccabile per certi versi.

Quel che vorrei analizzare io, seppur brevemente, è cosa capiti quando invece quell’intoccabile viene toccato, e in alcuni casi anche deturpato fino a divenire addirittura altro da sé.

Il primo esempio eclatante ce lo fornisce George Lucas con il celeberrimo caso de Han Shot First!

Nella prima edizione di Star Wars, nella scena della taverna, Ian Solo spara per primo al cacciatore di taglie Greedo poiché è un antieroe sfaccettato e controverso. Nella riedizione del ’97 questa scena viene rimaneggiata facendo in modo che Ian Solo spari per difendersi dalla minaccia di Greedo, escamotage che secondo il regista dava una connotazione politicamente corretta di un personaggio. In seguito a questa scelta sono nate aspre proteste, anche petizioni e il caso è diventato l’emblema della lotta del “semplice fan” contro l’istituzione che crea la storia che secondo la prassi detta le regole. Questo caso specifico dimostra ciò che dicevo all’inizio: non è sempre possibile mettere qualsiasi cosa in una storia, o addirittura cambiare ciò che una massa critica di fan ha già percepito. Vi è in questi casi una negoziazione.

Se l’autore cambia le carte in tavola come varia il testo nella percezione dei lettori?

Ma la negoziazione non può prescindere da un mercanteggiare che è fatto anche di equilibri e di forze in gioco. Esiste un caso, che riporto, in cui l’autore ha meno voce in capitolo di una massa critica di fan. È il caso di Andrzeij Sapkowski (da ora abbreviato a A.S.), scrittore polacco autore della saga dark fantasy che ha ispirato la trilogia The Witcher, pluripremiata e osannata da critica e fan come qualcosa di raro e da proteggere. Ebbene, A.S. sostiene, per sua convinzione, che il videogame abbia sostanzialmente rovinato la sua saga, e che l’avrebbe tradita e portato i giocatori a conoscere solo una parte del suo mondo.

Dunque, riassumendo, l’autore cede i diritti di sfruttamento a CD Projekt Red, la software house che sviluppa The Witcher sottovalutando il medium videoludico. Successivamente, raggiunto un pubblico già decisamente numeroso al secondo capitolo della saga, l’autore fa marcia indietro. Quando il terzo capitolo porta alle cronache il Brand e consacra The Witcher tra i migliori giochi di ruolo capaci di dettare standard, l’autore sfrutta, da una posizione relativamente debole considerato che come scrittore è sì apprezzato ma tutto sommato accolto tiepidamente dalla critica letteraria, la propria Autorialità come farebbe il Papa per scomunicare la canonicità dei giochi. Egli sostiene infatti, senza aver mai giocato o preso visione del materiale:

“The game – with all due respect to it, but let’s finally say it openly – is not an ‘alternative version’, nor a sequel. The game is a free adaptation containing elements of my work; an adaptation created by different authors,” he noted.

“Adaptations – although they can in a way relate to the story told in the books – can never aspire to the role of a follow-up. They can never add prologues nor prequels, let alone epilogues and sequels.

La situazione si complica decisamente, ed è ciò che molti fandom poi con delle vulgate semplificano dicendo, ad esempio “questa cosa non è canonica, non è mai successa in questo mondo immaginario”. Qui un esempio di come la community discute sulla legittimità o meno di certi finali del gioco.

A breve comincerà la serie TV di The Witcher e già si comincia a discutere su chi sia più fedele a cosa

Ed ecco che emerge con prepotenza il discorso di cui parlavo. Come ci si comporta quando più istanze collaborano per scrivere una storia? Si può certamente parlare di priorità, considerato che il fan è sostituibile, l’autore no. Ma quando sono presenti più autori, come in questo caso, come si decide quale sia il vero canone, il vero mondo immaginario? Sembrerebbe una questione di lana caprina per alcuni ma ritengo che invece sia molto interessante per rivedere in microscala certi comportamenti che poi si mantengono in macroscala. Il potere di un autore, stando all’esempio di The Witcher, non sta solo in una forma autoritaria di esercizio del proprio status di autore originario ma innanzitutto nella capacità di smuovere masse critiche di fan. Se nella questione A.S. ne è uscito dialetticamente sconfitto (al netto di quei puri di cuore che seguirebbero l’autore originario nella tomba) è proprio dovuto al fatto che la sua scrittura mediocre non ha saputo esaltare quanto il mondo dark fantasy pieno di sesso e mostri smembrati creati dal mezzo videoludico, comunque in piena fedeltà allo spirito originario dei romanzi.

Un altro esempio lo si potrebbe fare con il mondo di anime e manga; si sa che l’autore di un manga non segue quasi mai, se non per poche minuzie, l’adattamento animato della propria storia. Questa gode di un regista scelto che segue alcune direttive principali ma che in alcuni casi possiede libero arbitrio. È anche a causa di questa scelta produttiva che esistono episodi chiamati “filler”, ovvero episodi la cui trama non si collega ai rimanenti ma che servono da “riempitivo” in attesa che il mangaka produca nuovi capitoli da trasporre. Questi episodi devono essere letteralmente pieni di nulla, non possono contraddire la storia originale, eppure di qualcosa devono pur parlare. Nell’anime di Naruto, ad esempio, si parla del mistero della maschera di uno dei personaggi, Kakashi, e si fantastica su quale potrebbe essere il suo vero volto. Molti filler sono infatti a carattere onirico, o analizzano minuzie e dettagli che mai nessuno si è posto come problema. Il filler per eccellenza, ricordato da tutti, è l’episodio di Dragon Ball dove Goku e Piccolo prendono la patente (e si ricorda che possono volare entrambi).

Kakashi nella storia è perennemente mascherato

Ecco cosa scrive Eiichiro Oda, autore di One Piece, in uno dei suoi angoli della posta per spiegare la relazione tra l’autore del manga e le scelte degli autori che lavorano alla trasposizione animata, qui la fonte:

<<If his opinions (NDR, parla dell’head director dell’anime) and mine do not meet, Luffy instantly ceases to be Luffy and the world becomes entirely different. Even if I create the most heart-wrenching moment in the manga, if the anime’s “directing” is wrong, it becomes a forgettable scene. But the reason that doesn’t happen, and in fact, becomes even more memorable in the anime, is thanks to Uda-san and his crew of Director-Fighters, for understanding the world of OP so well and their directing skills.>>

Anche questa risposta sembra essere più che altro un contentino che scontenta tutti. Nel bel mezzo della visione, dunque, in cui abbiamo visto i protagonisti comportarsi come tali, dobbiamo credere che in verità sia tutto finto (nella sua finzione), che tutto ciò quindi non sia il “vero” e non sia mai successo nel vero mondo dell’autore. Infatti alcuni prosumer (qui un esempio) cercano con gli strumenti a disposizione di costruire scale di priorità per quanto riguarda il reperimento di informazioni per speculare sulle relazioni tra personaggi, su sviluppi futuri, sui valori di forza basandosi su stile, errori e dichiarazioni. Quindi una risposta che lascia più interrogativi di quanti ne metta a tacere perché è evidente un problema a livello cognitivo. Per quanto una mente e relativa immaginazione possano essere elastiche, e la storia piena di finzioni, c’è un limite che secondo me viene sempre più spesso raggiunto ed è dovuto principalmente alla Transmedialità e all’Ipertestualità delle storie.

E che dire dei film dedicati agli anime? Storie canoniche, non canoniche, a metà?

Massimizzare i profitti, creare ex novo film dei propri personaggi preferiti che coinvolgano l’autore, creare storie per videogame che dialoghino con la storia originale, creare fumetti prequel o sequel che in qualche modo si interfaccino con ciò che il pubblico vuole vedere, determina un allungamento innaturale della storia con conseguente fuoco incrociato tra più autori che a loro volta per mantenere la propria autorità dettano scismi in quella che a conti fatti è una comunità di fedeli.

In mezzo, il povero fan che con lo strumento ormai obsoleto del “canonico” o del “non canonico” cerca di destreggiarsi in un mare di cose che non sono mai successe ma che vorrebbe lo fossero, ma che non possono accadere se qualcuno non dà formalmente l’ok.

I mondi possibili sono infiniti ma non è infinito il loro sfruttamento di risorse cognitive e immaginarie. Il mondo dell’immaginazione permette molto ma non tutto. Il risultato sarebbe unicamente quello di infilare azioni e personaggi ormai sterili in un mondo che nessuno vuole più visitare e, considerati gli investimenti emotivi nelle storie più amate, comporterebbe anche un depauperamento del raccontabile, una prospettiva che oggi, tra remake, reboot, remaster in HD, director’s cut e quant’altro, può diventare assai perniciosa.  

[1]: Secondo il Professor Ortoleva in “Miti a bassa intensità” oralità e scrittura si concretizzano essenzialmente nei rispettivi formati di “onde” e “oggetti”. Gli oggetti sono qualcosa di, seppur soggetto a mutamento, relativamente fisso. Le onde, quali i discorsi a voce o via radio sono molto più soggetti a negoziazione nel tempo.

Questo articolo è già abbastanza lungo così, eppure è solo un concentrato di ciò che ho scritto nel mio blog personale. Lo lascio qui casomai qualcuno volesse approfondire.

Ivan Ruggiero