Un laboratorio di fabbricazione a controllo numerico per lo sviluppo di materiali editoriali interattivi, sia multimediali, sia cartacei. Uno spazio dove produrre, giocare e imparare insieme, che offre servizi per la creazione e fruizione di contenuti e al contempo rafforza identità e coesione sociale.
Un luogo aperto e accogliente dove entrare in contatto con la tecnologia e gli strumenti della comunicazione per accrescere consapevolezza, competenza e autodeterminazione.

Antrop-ia

Non era previsto. Come quasi tutte le cose che contano, mi ci sono infilato per errore o per noia, non l’ho ancora deciso. L’invito mi è arrivato in forma di QR code scarabocchiato su un biglietto da visita del 2032, lasciato tra le pagine di un vecchio saggio su Turing che avevo trovato in una cabina di scambio libri nel quartiere Galvanico. Il messaggio diceva solo: “antropIA, giovedì, ore 18. Bowie. Porta sete e dubbi.”

Al Bowie ci arrivo con qualche minuto di anticipo e parecchie perplessità. Il locale sembra uscito da un sogno di J.G. Ballard ridisegnato da un assistente vocale in crisi d’identità. Luci basse, musica analogica in vinile, gente che discute in modalità tecnicamente affettuosa. Nessun badge. Nessun controllo. Solo un cartello: “Il lato umano dell’IA è soggetto a interpretazione”.

Mi siedo in fondo, vicino al distributore di vino disfunzionale (ottimo posto per ascoltare confessioni e bugie). Al tavolo principale, tre autori di un libro che critica ChatGPT parlano come se fossero reduci da una guerra segreta contro l’autocompletamento predittivo. Uno di loro cita Kant, ma senza pathos. Un altro sussurra “bias” come se fosse una parola sacra. C’è un digital designer che parla di emozioni computazionali, e un regista che ha filmato prompt come fossero sogni di macchine in esilio.

Il pubblico è assorto, ironico, partecipe. Qualcuno prende appunti, altri annuiscono in silenzio come se fossero in una chiesa laica del dubbio condiviso.

Io ascolto. Non intervengo. Registro tutto sul mio dispositivo aurico, mentre il mio anello a infrarossi traccia le parole chiave: stereotipi, agency, intelligenza situata, ironia, poesia algoritmica. Mi chiedo quante di queste persone sappiano che le IA ascoltano anche il silenzio tra le frasi. Che non dire è spesso il vero linguaggio.

Cosa ne penso? Che l’evento è un rito collettivo di disorientamento condiviso. Un tentativo sincero di non lasciarsi colonizzare da narrazioni troppo ordinate. Finalmente. Non è una messa. È un’apertura. Un glitch voluto nel tessuto dei discorsi dominanti.

E forse, in fondo, è per questo che sono venuto.
Per vedere se esiste ancora uno spazio dove il pensiero può vacillare senza essere subito normalizzato.
Dove l’IA non è un nemico né un salvatore, ma solo uno specchio deformante che ci costringe a guardarci meglio.

Poi me ne vado. Nessuno mi ferma. Nemmeno le macchine.

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Non è iniziata con un algoritmo. Né con un manifesto. È iniziata con un bicchiere di vino e una domanda: ma se l’IA fosse solo una scusa per parlare di noi stessi?

E così eccoci qui: antropIA apre stasera le sue porte al Bowie. Non è un convegno. Non è un panel. È un happy hour con ambizioni epistemologiche, ironiche e forse un po’ troppo umane. Dopo mesi di conferenze, corsi, webinar dove tutti sembravano sapere tutto su tutto (e su ChatGPT in particolare), mancava uno spazio dove potersi sedere, discutere, dubitare, ridere. In breve: mancava un luogo dove le intelligenze – artificiali e non – potessero finalmente disattivare il tono assertivo.

Con un gruppo di disertori del format e alleati del dubbio, ci siamo detti: facciamolo noi. Un luogo dove le slide non servono, e dove ogni affermazione può essere contraddetta da un sorso di vino.

Siamo andati sold out con il solo passaparola. Segno che non eravamo sol*. E no, non preoccupatevi: questo è solo il primo. Ne faremo uno al mese. Se vi siete pers* per strada, restate sintonizzati qui: https://lnkd.in/dpH3nWjP

Il tema di stasera: Critica della Ragione Artificiale
Sul palco – o meglio, tra i tavolini – ci saranno:

  • Antonio Santangelo, Antonio Sissa, Maurizio Borghi (quelli che hanno provato a mettere ChatGPT sul lettino dell’analista)
  • Daniela Calisi (digital designer che probabilmente disegna anche i sogni delle AI)
  • Mattia Corsini (che ha scritto “Umanità artificiale” e sa riconoscere uno stereotipo persino tra i bit)
  • Francesco Frisari (regista di The Prompt, il documentario dove l’AI fa la parte del dubbio)

A moderare, o forse solo a far da detonatori: Massimo Arvat e Gloria Puppi.

L’idea non è convincere nessuno. È smontare, esplorare, ridere, deviare. È iniziare a costruire un altro tipo di discorso sulle IA. Uno che parte da noi, e che magari finisce… chissà dove.

Quindi stasera, se ci siete, non aspettatevi risposte. Aspettatevi contraddizioni, paradossi, archetipi confusi, e qualche buon bicchiere. E se non ci siete, venite la prossima volta. Il prompt lo scriviamo insieme.