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Dialoghi sull’adolescenza. Il casus belli di Horimiya

Stagione invernale 2021, ci è uscito “Horimiya”, un cartone giapponese che racconta, immerso nel sole che trapela dalle finestre dell’istituto scolastico in cui è ambientato, i giorni di scuola di una masnada di giovani, soprattutto di una ragazza e un ragazzo: Hori e Miyamura. Il protagonista, Miyamura, è chiuso e solitario ma esteticamente fuori dagli schemi: capelli lunghi, piercings, tatuaggi (che per gli standard giapponesi ciò si traduce in “è Chtulu che cammina tra le genti disseminando orrori e destabilizzazioni”); lei, Hori, è intraprendente e vivace. Ma di lei non ci curiamo, chissenefrega di lei, dà soltanto il nome a metà del titolo che si compone come il più classico degli “ship name” (HORI+MIYAmura).
Miyamura, abbastanza agli albori della serie, si mette insieme a Hori, un raggio di sole nella sua vita da recluso e con lei rimane fino alla fine; la fine è ovviamente rappresentata dal diploma: il momento in cui i giovani dovrebbero prendere l’ultima uscita per la maturità, scalare le marce per entrare a pieno diritto nella società. Qualcuno potrebbe dire che sono pulcini che rompono l’uovo o una panda che si schianta contro un albero. La prima è più poetica ma la seconda è più realistica.

Benissimo, wow, fantastico, è una classica mossa da “slice of life” per adolescenti in cui questi vengono “chiusi” in un ambiente protetto e di sperimentazione delle dinamiche e degli stress della società -cioè la scuola- in modo tale da poter giocare con i ruoli, capire sè stessi, avere un’idea più chiara della propria vita. O almeno è quello che pretendono i cosiddetti adulti, cioè che una volta varcata l’uscita dall’istituto comprensivo, l’individuo abbia risolto e si sia lasciato alle spalle i problemi dell’adolescenza.
Ecco.
Veniamo al punto.
In una delle ultime scene si vede un nuovo Miyamura. Egli è maturato, diverso, anche esteticamente: non è più il ragazzetto confuso che si atteggiava in tal modo per sfuggire ai propri problemi, non ha più i capelli lunghi e legati da bad boy ribelle (laddove, “bad” non lo era nemmeno per sentito dire).
La scena ha luogo sul tetto dell’edificio scolastico che in questo tipo di narrazioni è spesso associato a momenti di dialogo interiore oppure, con un altro personaggio lì presente, è il luogo in cui avvengono scambi comunque intimi e privati, che si suppone nessuno debba udire o vedere. E’ una specie di non-luogo dove il tempo e lo spazio esistono solamente per riversarvi le profondità del proprio Io, tant’è che, se si va a controllare, negli istituti scolastici giapponesi l’ingresso al tetto è vietato e spesso transennato per evitare che i ragazzi si suicidino gettandosi nel vuoto. Un luogo proibito, intimo e per certi versi fatale. ‘Na gioia.

Fatte le dovute premesse, il protagonista sul tetto, trova il vecchio sè stesso che lo attende nell’ombra, quello con i capelli lunghi, schivo, con i piercing alle orecche. Cioè, fisicamente ci sono due Miyamura in pochi metri quadri, da far inorridire qualsiasi legge dello spazio tempo ma il potere degll’introspezione generata dagli istituti scolastici giapponesi è immenso.
Il “bad boy” Miyaura dice al neonato sè stesso di non avere più bisogno di lui perché ora gli altri sanno dei sui piercing e dei tatuaggi -i suoi lati negativi-, ma nonostante ciò ha degli amici e una fidanzata; concordando, il vecchio sè risponde che è felice che il nuovo Miyamura abbia avuto il coraggio di guardarlo negli occhi -affrontare il vecchio sè- e che d’ora in poi sparirà dalla sua vita per il bene del suo futuro -privo di zavorre negative-. Un compagno di Miyamura sale per chiamarlo, un veloce stacco di camera e il vecchio Miyamura-Emo è scomparso.
L’allegoria è chiara come il sole: il ragazzo ora è sulla via per diventare adulto e si lascia alle spalle la fase ribelle e “disagiata” in cui aveva vissuto fino a quel momento: una fase che è stata accettata da sè stesso, così come lo sono stati i suoi problemi adolescenziali. Questi sono stati anche accettati dalla società a patto però che non tornino più alla luce del sole. Infatti il vecchio Miyamura, per lui, per il suo futuro, decide di sparire. E’ un discorso molto positivo tanto che, quando il ragazzo spiega le sue ragioni alla sua versione passata, è avvolto dalla luce del sole, mentre il suo doppio ha addirittura il volto coperto dagli occhiali offuscati.


La scena ha sicuramente il frame del buon auspicio ma ci potrebbe essere una doppia lettura che vede “Horimiya” come caso esemplare e si può espandere a tutto il genere slice of life indirizzato ad un pubblico di ragazzi: diventare adulti è sempre un lasciarsi alle spalle l’età delle sperimentazioni. Però ciò che si abbraccia è, nella stragrande maggioranza delle volte, un sè stesso stereotipico, perfettamente conformato e privo di individualità. Quando Miyamura elencando le cose che lo rendono un cittadino formato indica appunto gli amici -gruppo dei pari, rete sociale, ben connesso nella comunità- e la fidanzata -di cui non fa nemmeno il nome, la chiama semplicemente “fidanzata”-. Egli è diventato un cittadino performante a livello di indole, ora più solare e propositiva, ben inserito nella società, che va d’accordo con tutti e tutti vanno d’accordo con lui, e con una fidanzata. E la fidanzata è quel piccolo token che rappresenta quell’ altro “rito di passaggio” moderno che sancisce l’ingresso del singolo nella vita matura, l’amore.

Nei fatti l’ultima scena è una narrazione che in qualche scambio di battute diventa puro messaggio sociale: va bene chi tu sia stato, ma adesso anche basta, giovanotto. Il passaggio dal Miyamura chiuso a quello solare è dato dall’ingresso nella comunità, una comunità che però chiude un occhio su ciò che si è stati a patto che tutto quanto venga seppellito, insabbiato, nascosto sotto il letto e non se ne parli mai più. O almeno così pare.
Lo so che tutto ciò che è scritto qui sopra è la scoperta dell’acqua calda, ma il veloce scambio di battute nell’economia dell’intera serie è stato il casus belli che ha dato adito allo sviluppo della riflessione che in un modo o nell’altro abbraccia quasi tutta la fiction per ragazzi giapponese. Che la versione a fumetti possa essere differente ci interessa a ben poco, visto che si tratta di una mera riflessione scatenata da una scintilla.