In un’era pervasa dai social media, dai big data, dalle pubblicità mirate, lasciare traccia delle nostre “abitudini online” è diventato inevitabile. Non solo ciò che facciamo, ma anche chi siamo o cosa vorremmo essere risulta facilmente decodificabile, dando un’occhiata ai nostri canali. Tanto vale, quindi, cercare di veicolare questo processo, stando attenti a ciò che comunichiamo perché non c’è privacy policy che tenga, la nostra identità online, la nostra Reputation è alla mercè di tutti.
Sempre più si parla di Personal Branding. Come fanno le aziende nel creare la loro immagine, nel trasmettere i propri valori anche i semplici utenti tramite le interazioni online cercano di curare la propria identità. Quando conosciamo qualcuno, cerchiamo i suoi canali social per farci un’idea più chiara sul suo conto. Persino i datori di lavoro nella scelta del personale spulciano i profili privati dei candidati e spesso sono motivo di assunzione o meno. Perciò è diventato fondamentale curare la propria Reputation.
Fare Personal Branding significa impostare una strategia per individuare o definire i propri punti di forza, quello che rende ognuno di noi unico e differente rispetto agli altri e comunicare in maniera efficace chi siamo, cosa facciamo e il motivo per cui gli altri dovrebbero stimarci, seguirci o, in certi casi, sceglierci rispetto ad altri.In ambito lavorativo costruire la propria Reputation è, quindi, ormai diventato essenziale per essere competitivi e raggiungere i propri obiettivi.
Dobbiamo creare, coltivare e mantenere il nostro personal brand e non avere paura del confronto con gli altri perché è la sola e unica via per il successo. In effetti oggi, grazie all’evoluzione tecnologica e alla rivoluzione comunicativa, non esistono più barriere gerarchiche: chiunque può mettersi in gioco ed esporsi ad opinioni, commenti e critiche. Ma sta proprio qui la novità. Ormai parlare di Social o web come un fenomeno nuovo è da sciocchi. La novità sta nelle modalità di interazioni e nei nuovi scopi della promozione online. Creare community è ormai l’obiettivo che deve perseguire chi fa branding. Così facendo si assicura un seguito non indifferente e allo stesso tempo dei buoni risultati in termini pratici. Tanto vale prepararci e cercare di promuoverci al meglio così da tenere testa ai Leoni da tastiera.
Siamo fruitori ma allo stesso tempo contribuiamo al flusso di prodotti multimediali che giornalmente intercetta la nostra rete di contatti. Postiamo le nostre opinioni, i nostri volti, la nostra voce e le nostre passioni, ricercando un pubblico che possa prestare attenzione al nostro lavoro.
Ma quanto siamo consapevoli di ciò che produciamo? Il nostro operato segue una strategia, rispecchia la nostra personalità, ha uno scopo prestabilito? O è solo un’abitudine passiva, fine a sé stessa, frutto di un conformismo ormai calcificato?
Penso soprattutto agli utenti in fasce d’età delicate come potrebbero essere i bambini, o peggio, gli anziani. Non trovate sia alienante? Non c’è più arte, non c’è originalità. Solo meccanicismo.
Tutto ciò mi fa pensare alle rivoluzioni industriali e ai nuovi processi di produzione che hanno cambiato lo stile di vita delle persone nei secoli scorsi. Il lavoratore, introdotto nelle catene di montaggio dei sistemi industriali, diventa parte di un insieme. Il fattore umano si ritrova ad essere pari a zero. Si avvia quel processo di alienazione che estranea l’essere umano da ciò che fa fino al punto di non riconoscersi più. Niente di più disumanizzante.
Ho trovato delle analogie tra il ruolo del prosumer e quello dell’operaio alienato nei sistemi industriali teorizzato dai filosofi del passato e che mai come oggi risulta esplicativo e al passo coi tempi. Postiamo sui Social pressoché seguendo sempre lo stesso format, raramente spicchiamo per originalità, diventiamo parte di un flusso, niente di più. I nostri contenuti sono solo una parte di un disegno più grande che non ci è dato conoscere o, addirittura, controllare. Viene a mancare “il genio individuale”, aumenta la produzione in termini quantitativi e produciamo disvalore che incide sulla qualità della Cultura stessa.
Il mio invito è quello di cercare la bellezza, l’arte, l’efficacia nell’operato dei prosumer più consapevoli; sta in loro la vera Comunicazione. Spezziamo questa Catena del Bad Prosuming! Seguire la propria passione e far di tutto per coltivarla è l’unico modo per farcela alla fine. Partire da una base forte, auto promuoversi e far parlare di sé. È questa la sfida che dobbiamo affrontare. Basta procrastinare, è ora di costruire la nostra Reputation.