Un laboratorio di fabbricazione a controllo numerico per lo sviluppo di materiali editoriali interattivi, sia multimediali, sia cartacei. Uno spazio dove produrre, giocare e imparare insieme, che offre servizi per la creazione e fruizione di contenuti e al contempo rafforza identità e coesione sociale.
Un luogo aperto e accogliente dove entrare in contatto con la tecnologia e gli strumenti della comunicazione per accrescere consapevolezza, competenza e autodeterminazione.

Pea Brain: quando la street-art si fa “ochetta”

E’ intorno al 1986 che iniziano ad apparire tante ochette in giro per la città di Bologna su muri, garage, serrande etc. Ochette che divengono parte del contesto e del paesaggio urbano, che incuriosiscono turisti, giovani universitari e chiunque la città la viva e la respiri almeno una volta. Sono gli anni dei centri sociali, dei piercing, dei vestiti improbabili, dei rave. Salta all’occhio tra le tante tag questo disegno buffo, stilizzato ma ben concepito per rimanere ancorato nella memoria collettiva. Si ripeteva qua e là, a volte formando delle vere e proprie piste lungo i muri, come le biriciole di pane di Hansel e Gretel. Una traccia semplice, quasi disegnata da un bambino, spesso con pomelli sulle guance e sempre con gambe lunghe e snodate. Un simbolo enigmatico, perché porta ad interrogarsi sul suo significato e sul perché della sua ricorrenza. Leggendo interviste posteriori a quegli anni, si legge di come girassero molte voci a riguardo, non precise ed estremamente diversificate: “Le disegna una tipa”; “Sì, ho sentito dire che una volta ha preso una cartina topografica della città e ci ha disegnato sopra un’oca. Poi è andata a dipingerla sui muri seguendo il tracciato della cartina. È venuta fuori un’enorme oca, visibile da una prospettiva aerea, però nello stesso tempo virtuale”.

La nascita dell’oca PeaBrain ha però una genitrice nota: Monica Cuoghi. Per diversi anni Pea si è vista dappertutto, assieme ai disegni del compagno d’arte e di vita, Claudio Corsello (aka CANE K8). La loro arte è stata mille cose: un modo per riappropriarsi della città, un inchino di fronte alla potenza della natura, una risposta criptata all’enigma della morte. La loro arte è stata soprattutto uno stile di vita magico, ovvero capace di generare nuove realtà. L’oca Peabrain è la loro interfaccia più nota. Si alternavano, equilibrandosi, le loro perfomance e installazioni in gallerie agli interventi di street art. Oggi abitano in un’ex tipografia, uno spazio stipato di opere prodotte in 27 anni di collaborazione.
All’inizio Pea compariva in segreto, mentre in parallelo si svolgeva la carriera “ufficiale” di Monica. Una delle manifestazioni più note del progetto, era ben visibile arrivando a Bologna in treno: si era accolti, nei pressi della stazione, da una lunga fila di papere di grandi dimensioni dipinte sul muro di confine della ferrovia.
Altre diventate famose furono quella all’ingresso del Link (noto club della città) o quella in posizione di spaccata sotto il ponte della stazione.
Fu fondamentale il contributo di Monica soprattutto per via dell’egemonia maschile che permeava le strade in quegli anni e che, anche se con meno rigidità, continua oggi. Dimostrare che anche un donna potesse avere uno spazio e un proprio percorso artistico e personale nella street artist, fu la vera novità. Il contesto urbano fu fondamentale per il progetto, così come lo è ancora per tutti quelli che fanno parte di questo mondo o dei progetti espositivi contemporanei. Si può usare la città come supporto per comunicare, riuscendo a soddisfare le proprie esigenze artistiche prendendo possesso dello spazio, riuscendo però a restituirlo diverso e rinnovato, come un regalo. Chi non lo apprezza non lo merita. A causa della legislazione che accomuna la pittura non autorizzata sui muri al vandalismo, i writers sono creature prevalentemente notturne.

MC: “È l’abbraccio della città: ti senti come se più la disegni, più la guardi, e più la ami. È un legame profondo che ora mi sta ripagando di tutte le tristezze, perché incontro continuamente delle persone giovani che amano Peabrain, ed è per loro un importante riferimento, incoraggiamento nella vita. Sono grata di ciò, e penso che le persone sentano e ricevono l’abbraccio d’amore che porta il segno. Allora ho pensato che forse Pea Brain è magica, io sono stata un mezzo per questo segno benefico sugli uomini. Infatti la sua bidimensionalità, il suo colore quasi sempre nero, ha qualcosa di severo e importante, qualcosa che viene non so da dove per sempre … è lei che ha deciso di arrivare.

Da Pea però nacquero altri progetti, altrettanto noti e proliferi. Ne è un esempio SUF, che nasce nel 2000, che ha la gonnella e le orecchie da Topolino e il suo nome è l’acronimo di “Sono un folletto”. Come tutte le rappresentazioni di figure infantili si connette all’irrazionale, all’estro creativo, ed anche al passato mitico, in questo caso i trascorsi da writers. SUF ha anche un alterego cattivo, un fratellino demone che si chiama Skifio. Non è cattivo sul serio, ma fa sempre l’altalena fra i poli del bene e del male, come forse è giusto che sia.

Le testimonianze della famosa ochetta non si fermano però al passato, ma la vedono protagonista tutt’oggi, non solo attraverso ig-stories ma anche con installazioni vere e proprie. E’ di questo mese infatti, il riposizionamento di un’ opera del 2015 nota come “La zampa di Pea Brain”, un neon nato in occasione della mostra “Raccontare un luogo nel 2015” e commissionata da Lorenzo Bruni ed Enrico Astuni. Dopo l’evento, Gaia Rossi, attraverso il curatore Antonio Grulli, contatta l’artista per acquistare l’opera, per poi posizionarla nella sua casa a Palazzo Bentivoglio, sempre a Bologna. Finisce nella cantina, divenuta galleria d’arte, sulla lunga e alta parete medievale che accompagna al suo ingresso. L’ha voluta stabile come luce del cortile, accompagnatrice dello spazio espositivo, prima durante Arte Fiera del 2019 dove erano esposte le foto di Jacopo Benassi, poi questa settimana in occasione della mostra di foto “Arte e Industria” del Mast.

Se è vero però che l’arte si evolve nella forma, ciò si ritova anche negli strumenti stessi che si impiegano per il suo manifestarsi.
Un esempio contemporaneo curioso e inaspettato, che trova il proprio sulla strada nel vero senso del termine, lo vediamo con il particolare uso che si è fatto di un app per cellulari chiamata Strava. Nata per dedicarsi principalmente al tracciare i percorsi di ciclisti e podisti amatoriali e non, è magnetico l’uso che ne fanno alcuni utenti, primo tra tutti Lenny Maughan, che realizzano figure di oggetti, animali o personaggi famosi, servendosi della funzionalità stessa dell’applicazione. E’ così che si realizza un progetto in cui gli utenti partecipano attivamente, ricalcando consciamente o meno, quello realizzato da Monica prima che l’era digitale si propagasse in modo massiccio come oggi accade.

Per approfondire, ecco il link all’articolo dedicato: https://isaacstoriesunito.wordpress.com/2019/10/29/strava-tra-attivita-fisica-e-arte/

Maggie Musso

Fonti:
Sito degli artisti: http://cuoghicorsello.blogspot.com/2019/10
https://www.bibliotecasalaborsa.it/content/bolognadeifumetti/cittafumetti.php?current=22428
https://bolognaunavolta.wordpress.com/2009/03/02/pea-brain/