Scena iniziale del videogioco
“Hello! Welocome to the DETROIT experience. I’m an android and i’ll be your hostess” così il gamer contemporaneo viene introdotto all’avventura di Detroit: Become Human, ultimo figlio di David Cage che, dopo altre esperienze di videogiochi caratterizzate da storie a bivi, approda ad una rappresentazione grafica interattiva di un dilemma molto sentito nel XX e soprattutto XXI secolo: cosa rende gli umani….umani? È una mera questione biologica? La supremazia sulle altre specie? La capacità di provare emozioni?
Tale questione è la base del dramma affrontato da quelli che si possono definire i tre personaggi principali della storia, ossia Kara, Connor e Markus, androidi prodotti e distribuiti dalla Cyberlife atti a prestare servizio agli esseri umani nelle loro attività più disparate: faccende domestiche, badare ai bambini (Kara), assistere anziani (Markus), eseguire indagini di polizia (Connor), soddisfare desideri sessuali e altro.
Il giocatore nel corso della sua partita prenderà in mano le redini della vita di ognuno di questi tre personaggi e anche di altri che potrebbero sembrare secondari all’apparenza, ma il cui ruolo si svelerà cruciale in virtù delle scelte che il giocatore ha fatto intraprendere loro.
Il principio di base che si deve sempre tenere a mente è, infatti, che è il giocatore a manipolare, influenzare, cambiare totalmente il corso degli eventi scegliendo tra varie opzioni ciò che i personaggi devono decidere, fare, pensare, dire e addirittura mangiare. La sconvolgente novità consiste, non a caso, che le decisioni da prendere sono molteplici, e vanno dal decidere se scappare da un nemico o meno, al decidere di che colore tingersi i capelli, oppure in che modo salutare o guardare un altro personaggio. Il bello del gioco è che ognuna di queste scelte è ugualmente importante e potrebbe avere un risvolto cruciale nel corso delle vicende.
Ne deriva, dunque, un alto grado di interazione con il gamer, reso palese fin dall’inizio, in cui la hostess del gioco si rivolge al giocatore stesso auspicandosi addirittura che l’esperienza sia di suo gradimento. Scena che cinematograficamente verrebbe considerata come una rottura della quarta parete. Tuttavia, questo non è l’unico elemento che l’esperienza videoludica ha in comune con il cinema. Molte sono infatti le considerazioni relativamente al fatto che più che un videogioco sembra essere un film interattivo a bivi.
Tale dubbio è innestato non solo dalla spettacolare resa fotorealistica dei personaggi (i cui volti e corpi sono stati presi in prestito da attori reali) e delle loro espressioni facciali, ma anche da quelli che sembrano proprio essere degli effettivi “movimenti di camera” quali cambi di inquadratura strategici, zoom in, zoom out ad hoc e close up su dettagli studiati e pensati.
Tuttavia, ciò che più tiene il giocatore aggrappato al controller è la capacità del videogioco di innescare in lui, tramite un travolgente impatto emotivo, una particolare empatia che lo porta a riflettere e ponderare ogni scelta in modo che quest’ultima non sia gravosa per il personaggio per cui simpatizza o per la relazione interpersonale di altri personaggi, senza parlare del fatto che è a tutti gli effetti un deus ex machina di un mondo futuristico verosimile, relativamente vicino alla sua realtà contemporanea (al tal proposito si ricordi che Detroit è una città americana realmente esistente).
La possibilità data dal gioco al gamer di poter prendere anche la più piccola e stupida decisione non fa altro che incrementare questo meccanismo in virtù del fatto che lo trascina in una immedesimazione con i personaggi sempre più profonda.
Infine, così giocando, egli stesso si ritroverà a riflettere su questioni complesse e spinose, accrescendo sempre di più l’ambizione di volervi trovare delle risposte e/o soluzioni.
Dal punto di vista dell’organizzazione del gioco, oltre ad avere due livelli di interazione dati l’uno dall’hostess che accoglie il giocatore per proiettarlo poi al gioco vero e proprio, l’altro dal dover decidere per i personaggi manovrati e dunque, essere egli stesso un personaggio della trama, la struttura si riparte in blocchi. Vi sono delle macro-sezioni che danno accesso, a seconda delle scelte fatte, a molteplici diramazioni. Ogni macro-sezione determina un finale di un dato blocco di trama. Ognuna di queste macro-sezioni è rappresentata da un diagramma che “si crea” una volta terminato quel dato blocco di trama e consultabile, poi, dal giocatore, qualora volesse sapere se e quale diramazione ha intrapreso. Ovviamente le altre possibilità, nonché i finali alternativi, all’interno del diagramma, sono oscurati, se li si vuole conoscere bisogna rigiocare cercando di creare tutte le combinazioni possibili tra le varie scelte. Questi finali poi convergeranno, dialogando e interferendo tra loro, in uno schema ben più grande che va a costituire una sorta di trama principale di fondo. Ognuna di queste diramazioni, però, si badi bene, non è determinata solo dalle scelte, ma anche dalle relazioni che si sviluppano tra i vari personaggi, determinate sempre dalle scelte del giocatore.
Si tratta insomma di avere dei veri e propri burattini nelle nostre mani.
Esempio dei diagrammi presenti nel videogioco
Sostanzialmente, dunque, al giocatore che vuole scoprire ogni diramazione, sottotrama e/o finale possibile, non resta fare altro che divertirsi nelle varie scelte a disposizione restando a guardare come si sviluppa la trama.
Domenica Paciolla
Fonti:
https://www.spaziogames.it/detroit-become-human-un-viaggio-tra-le-emozioni-243079/
https://it.wikipedia.org/wiki/Detroit:_Become_Human
https://www.spaziogames.it/detroit-become-human-un-viaggio-tra-le-emozioni-243079/
https://www.thegamer.com/detroit-become-human-review-interactive-drama-almost-tackles-difficult-ideas/